martedì 19 ottobre 2010

MUSICOTERAPISTI ADDIO?

- Di http://musicoterapie.over-blog.com/
Postacchini Pier Luigi, Spaccazocchi Maurizio, *MUSICOTERAPIA: Scientifica o Umana?
Con questo scritto ci permettiamo di esprimere alcune considerazioni, maturate nel lungo corso degli anni che ci hanno visti coinvolti come docenti formatori nel mondo professionale della musicoterapia.

I tanti anni di lavoro nel settore, i costanti interscambi fra docenti e allievi, i tanti testi, articoli e saggi scritti e letti, i tanti convegni nazionali e internazionali presenziati, le tante tesi sostenute come relatori e le altrettante criticate come contro relatori, ci hanno portato a credere che, forse, la “postura” teorico-scientifica, o meglio ancora sarebbe dire: i vari modelli scientifici che le tante scuole di musicoterapia italiane e straniere, che le varie teorie scientifiche indicate da isolati gruppi di lavoro o addirittura da singoli operatori (musicoterapisti e musicoterapeuti), sono teorie che, crediamo, stiano sempre più rischiando di apparire altisonanti, appesantite, cariche di un sapere che spesso, invece di sintonizzarsi con le prassi, si allontana da queste, si trasforma in costrutto teorico incoerente, in un sapere che molto spesso impoverisce le stesse pratiche che dovrebbe, logicamente e con coerenza, sostenere.

In queste nostre osservazioni e considerazioni non c’è assolutamente nessuna intenzione di offendere nessuno (scuole, docenti, operatori, ecc.), c’è solo un grande e appassionato invito ad una vera e propria importante riflessione sulla base di questo che crediamo possa essere un principio di base:

Per dimostrare valore, ogni vita, come ogni azione quotidiana o professionale, ha bisogno di praticare coerenza, e la coerenza è visibile in tante cose e quindi anche nel rapporto fra prassi e teoria.

Siamo convinti che questo rapporto, in musicoterapia, nelle musicoterapie, abbia sempre mostrato un certo conflitto, poca linearità, quasi a voler far emergere, speriamo involontariamente, un’azione teorica limitata o a volte forse troppo ingigantita.

Ecco quindi di seguito il nostro pensiero, le nostre riflessioni, sbagliate o corrette che siano per il lettore.

Il problema

Da anni il mondo della musicoterapia si sta impegnando per disegnarsi addosso un abito sempre più scientifico. È il bisogno di rivestire le sue tante e diverse prassi con modelli o criteri scientifici che purtroppo, molto spesso, non le sono propri e forse nemmeno pertinenti, poiché le sue molte e variegate pratiche non sempre e non obbligatoriamente riescono a trovarsi in sintonia con teorie che cercano di contenerle e sostenerle e che, di frequente, sono riprese o interamente condivise da paradigmi esterni al mondo della musicoterapia stessa.

A volte si potrebbe pure parlare di una vera e propria condotta schizofrenica fra il fare e il sapere in musicoterapia, in cui il sapere viene molto spesso indicato come un lineare tracciato teorico collegato alle prassi, come un leitmotiv è collegato intrinsecamente alla sua opera.

No, non è sempre e nemmeno così evidente!

Questa intrinseca relazione fra prassi e condotta scientifica, si potrebbe esasperare ancor di più se poi si tratta di un fare che è davvero intrinseco all’umano, al bisogno umano, alle relazioni umane che, appunto, proprio perché umane non possiamo pretendere che siano, di conseguenza, obbligatoriamente scientifiche, cioè nel senso che comunemente diamo alla parola scienza. E la musicoterapia è una di queste, è prima di tutto una prassi, una buona prassi almeno giudicando le operatività più diffuse e note.

In breve ci sentiamo di proporre una serie di domande che mettono in evidenza il problema fra teoria e prassi nell’esperienza in musicoterapia e che, anche se non troveranno delle vere risposte in questo scritto, speriamo almeno che possano funzionare come stimolo per un dibattito, per uno scambio di idee sulle reali possibilità che la terapia musicale ha di essere o di attribuirsi il valore di pratica scientifica:

* Quanta coerenza esiste fra l’impianto teorico e l’applicazione pratica della musicoterapia nei suoi vari settori di applicazione (neurologia, neuropsichiatria, psichiatria, età evolutiva, terza età, gravidanza, oncologia, malattia terminale, gestione del dolore, ecc.)?
* In termini più specifici, tanto per indicare alcune note scuole, sulla base di quale criterio scientifico è possibile sostenere il concetto di ISO musicale benenzoniano?
* Sulla base di quale criterio scientifico è possibile parlare di musicoterapia creativa nel metodo Nordoff-Robbins?
* La musicoterapia è scientifica come prassi o diventa tale solo sulla base della formulazione di criteri applicativi che si rifanno più a teorie che, a volte, non le sono nemmeno proprie?
* La musicoterapia, visto che esiste in modo tangibile come buona prassi, ha bisogno di scientificità per se stessa o piuttosto perché ha l’ardire di essere riconosciuta in alcuni ambiti della sfera ufficiale della medicina?
* E ancora, perché attribuire anche forzatamente un principio di scientificità quando le prassi in musicoterapia risultano essere umanamente corrette?
* Se lo scopo della musicoterapia consiste nella ricerca del bene della persona e se le sue buone prassi sono utili all’uomo, perché spingere il suo saper fare verso una sapere teorico che di frequente non gli si addice?
* E infine, ma è così impensabile una musicoterapia che si attesta semplicemente su un fare e sulla formulazione di un sapere umanamente corretti?
* Ecc.

Con queste e altre possibili domande che sono semplici per quanto coerenti e motivate, vorremmo tentare di promuovere una visione delle prassi in musicoterapia come un insieme di tanti modi di fare che piuttosto di essere sostenuti da principi teorico-scientifici “forzati” o “imposti”, siano sorretti da una corretta applicazione secondo i più comuni criteri di umanità, secondo i più semplici ed onesti mezzi e modi che la conoscenza, rac-colta dal cumulo di prassi, mette a disposizione dell’operatore, sia esso musicoterapista o musicoterapeuta.

In altri termini, se la scienza si avvale di una forte credenza dei principi generali di un determinato campo del sapere, la prassi in musicoterapia si avvale della sua esperienza, della sua conoscenza, del suo stile relazionale, della applicazione di uno stretto rapporto fra qualità-quantità della materia sonoro-musicale e qualità-quantità dello specifico e ben determinato bisogno umano.

La correttezza applicativa del fare in musicoterapia non ha bisogno di una teoria forzata, quanto piuttosto di una costante com-prensione e re-visione del rapporto fra il cliente, il terapeuta e il mezzo sonoro-musicale utile in quella sola, unica e umana relazione.


È umano

È un bisogno dell’uomo tentare di tradurre in criteri logici, in pensieri coerenti le proprie esperienze, le proprie pratiche, il proprio saper fare in sapere più o meno teorizzabile, definibile come un ragionato insieme di espressioni che possano dimostrare un’avvenuta riflessione, una accurata meditazione, un’attenta analisi utile per valutare quanto e come quel fare sia o no passato attraverso il filtro del dire, del definire, del com-prendere.

È insito in ogni uomo, in ogni cultura, il passaggio o meglio ancora la traduzione di una condotta del fare in condotta del capire, sintetica, riflessiva, raccoglitrice, analitica, modellatrice, che a diversi gradi, quantitativi e qualitativi, può anche definirsi pensiero teorico, corpus teorico.


Metodo scientifico VS Buone prassi

Crediamo però che ci siano dei distinguo da fare tra il bisogno di riflettere e di sintetizzare in scientia (termine latino per dire conoscenza) e il brutto costume di applicare anche a buone prassi l’etichetta di metodologie scientifiche, di paradigmi scientifici che avrebbero il compito di sostenere il valore di prassi e che, essendo già buone prassi, non avrebbero proprio alcun bisogno di essere marchiate come azioni scientificamente corrette.

Senza addentrarci negli studi sulla scientificità della scienza (es. quelli di Thomas Kuhn[1] ed altri) che ci confermerebbero, tanto per citare qualche aspetto:

* la labilità stessa del paradigma come concetto di base,
* la forte credenza di una comunità in una matrice disciplinare che non sempre può definirsi storicamente e geograficamente scientifica,
* gli strumenti e mezzi scientifici da utilizzare,
* i principi filosofici e metodologici,
* ecc;

possiamo dire che esistono delle pratiche umane che, proprio perché umane, vivono della loro pertinente caratteristica: unicità, varietà di bisogni, di modalità, di mezzi e di modi di fare e che, proprio per questa natura umana, non possono affidarsi ad una metodologia unica, standardizzata, ripetibile in più occasioni, quasi come una ricetta medica o, se vogliamo, di cucina.

Infatti, tanto per fare un esempio banale, la stessa aspirina non fa gli stessi effetti a due diverse persone che accusano lo stesso male, come la stessa ricetta di cucina preparata in due diverse case non offre lo stesso identico risultato sia in termini di gusto che in termini di appagamento della fame a due persone se pur ugualmente affamate.

Alcune volte abbiamo la netta impressione che certi principi metodologici applicati dalle tante scuole di musicoterapia siano quasi più scorretti e meno coerenti delle tante culture sciamaniche che da secoli hanno applicato la musica per curare i loro simili in stato di sofferenza.

Se si pensa che la parola sciamano deriva dal tunguso-mancese (Russia, lago Bajkal) saman, originata dal verbo sa (che vuol dire sapere come nel francese savoir, nello spagnolo saber) e che dunque ci si affida ad una antica conoscenza o scientia, ci viene da pensare che a volte la musicoterapia non voglia avvalersi proprio del suo sapere, di una sua conoscenza motivata da buone prassi e che, al contrario, preferisca appellarsi a saperi extra, purché ritenuti o creduti come forti principi metodologico-scientifici.

E inoltre giusto sapere che pure le parole inglesi witch e wizard (strega, stregone e maga, mago) derivano da una radice indoeuropea che significa vedere o sapere (che ritroviamo anche nel latino videre, nel tedesco wissen che vuol dire sapere) e che dunque alla base di queste pratiche popolari si intravedeva il senso di saggezza, di pratica condotta da un uomo saggio, da una donna saggia.

Che la musicoterapia manchi di saggezza, in questo non affidarsi alla formulazione di teorie e conoscenze proprie? Che la musicoterapia abbia forse paura delle sue conoscenze acquisite negli anni?

Che ci sia forse, da parte della musicoterapia, il timore di affidarsi alle proprie conoscenze acquisite dal momento che si appella alla credenza scientifica?

Leo Rutheford definisce lo sciamanesimo come un sistema di non credenze che si avvale della profondità della valorizzazione della conoscenza acquisita nel superamento delle prove:


“La conoscenza funziona, supera le prove e resiste al tempo, si rivela dall’interno, diversamente dalle credenze che si acquisiscono dall’esterno, dagli altri. Le guerre si combattono per affermare credenze, dogmi e dottrine, mai per la conoscenza.” [2]


Perché allora non dare più fiducia alle proprie conoscenze, perché non modellizzare[3] le proprie prassi, perché non credere alle buone prassi che maturano nel tempo e con il tempo, piuttosto che “ammalare” il proprio fare con credenze scientifiche non proprie, con l’applicazione di criteri teorici che molto spesso non sono in sintonia con quello che ha di per sé una scientia, ovvero una conoscenza che si preferisce occultare piuttosto che farla emergere nella più sincera, onesta e umana chiarezza?


Alla ricerca forzata di un paradigma

Una cosa è riflettere nel tentativo di ordinare al meglio le proprie prassi, e un’altra è forzare il proprio saper fare per costringerlo ad incanalarsi dentro un paradigma scientifico che ben poco ha in comune con quelle prassi e che, di conseguenza, si dà forma ad una falsa relazione che sta in piedi solo nella mente di chi l’ha promossa o all’interno del gruppo dei “credenti”. Questa falsa relazione, nel momento in cui si attesta come base teorico-scientifica, marchia l’operatore musicale terapeutico di un falso saper essere che può quindi rendere critica e criticabile la sua stessa figura professionale globale.

Nella nostra cultura occidentale europea sembra manifestarsi, sempre con più frequenza, un vizio che potremmo definire con il termine di patologia della mentalità scientifica: tutto quello che si pratica ha ragion d’essere solo se si appoggia ad un modello scientifico pre-costituito, che funzioni come un vero e proprio sostegno teorico, pensiero giustificante di un determinato insieme di prassi, comportamenti, osservazioni, relazioni, redazioni, mezzi, materiali, setting, ecc.

È anche vero, purtroppo, che sembrano “vendersi” meglio le proprie prassi all’interno di un pacchetto teorico-scientifico che, più di altri, si avvale di una forte credenza da parte di una determinata comunità o del gruppo di addetti ai lavori.[4]

Come è altrettanto vero che ogni forma di prassi, ha bisogno di tradursi pure in una riflessione, in un pensiero che tenta di ordinare, almeno coerentemente e con dignità umana, un modello comportamentale, un insieme di mezzi e di materiali, uno stile operativo e relazionale, ecc.

Quindi tentare di raccogliere in criteri onesti e lineari il nostro fare è cosa utile purché non sia azione forzata, costretta, che serva solo a “vestire” chissà di quale scientificità ciò che umanamente avrebbe comunque lo stesso valore, senza per altro “sporcarsi” di teorie e paradigmi inutili, poco coerenti e corretti, dunque dis-umani.

Una cosa è cercare di rendere sempre più corrette le nostre prassi e un’altra cosa ancora è “colorare” il nostro fare con assunti teorici, con finte coerenze che non provengono, non emergono realmente dal nostro reale operato.

Secondo noi ogni scuola di musicoterapia, oggi che è ancora in tempo, dovrebbe rileggere con assoluta libertà e semplicità d’animo, i suoi basamenti teorici, le sue modellizzazioni, le sue teorizzazioni e chiedersi davvero, a mente sgombra e non colta da “falsa credenza”, quanto la sua “architettura teorizzante” sia in accordo con le sue prassi.

Indossare abiti che non sono stati tagliati su misura, anche se questi sono belli e ricchi, è comunque mostrarsi per quelli che non siamo. E se a volte il corpus, il saper fare risulta povero non lo è perché è povera la sua prassi, ma perché lo impoverisce il suo abbigliamento teorico, quell’aurea che “colora” troppo ma che, nello stesso istante, “sporca” pure troppo la coerenza, l’umana sanità mentale che deve intercorrere fra il sapere teorico e il fare pratico.

È questo il momento, crediamo, anche coraggioso ma altrettanto bello e liberatorio, per “scrollarsi” di tutti gli apparati teorici e metodologici che non sono palesemente in accordo con la nostre prassi in musicoterapia.

È questo il momento di far “evaporare” quel pro-fumo teorico che rischia di far “puzzare”, nel tempo, la credibilità di una professione così difficile per quanto così umana (il nostro saper essere).

È questo il momento di darsi una teoria, se pur semplice, se pur elementare, ma corretta, in sintonia, dedotta veramente dal fare e non dalle più ufficiali scuole di credenza e nemmeno da teorie esterne che possono sostenere un angolo o un sol punto di una ben più articolata pratica musicale terapeutica.

Continuare a “sporcare” le prassi musicoterapeutiche con teorie improprie, con modellizzazioni iper-articolate, con schemi osservativi iper-minuziosi (su tematiche a volte marginali), con teorie o analisi del sonoro-musicale a volte banali e altre volte cariche di astruse e inutili complessità, ecc…, significa continuare a dare una idea irreale e impropria delle professionalità in musicoterapia, a mostrare incoerenze che prima o poi, come un boomerang, si rivolgeranno contro il mondo musicale terapeutico.

La correttezza, la sanità professionale e mentale di una scuola (intesa sia come mentalità che come una vera e propria istituzione di formazione) si reggono sulla coerenza, sulla sincerità, e quindi, anche inevitabilmente, sulla giusta e interconnessa relazione fra prassi e teoria.

Scientia descendit in mores

Se è vero il detto latino che dice: la conoscenza si traduce in consuetudini e che ora possiamo anche riformulare con il pensiero si manifesta attraverso i suoi prodotti, attraverso le sue prassi, è dunque altrettanto vero che le prassi, i prodotti del fare umano contengono un pensiero, sono espressioni di conoscenza. Una conoscenza che a volte, alcuni non sanno estrarre, ma che di fatto è lì presente, implicita, da esternare.

Ecco allora perché un insieme di comportamenti non può venir giustificato attraverso una forzatura teorica, attraverso una costrizione che impone di interpretare un determinato saper fare come prassi sostenuta da un modello scientifico precostituito.

Ogni pratica, ogni condotta attiva, se analizzata con coerenza e pulizia mentale, nasconde i suoi principi, i suoi criteri, le sue metodiche, la sua ragion d’essere. E una volta analizzata una prassi, e giunti pure ad una sua definizione di scientia (di conoscenza), non per ciò, abbiamo il diritto o l’obbligo di definirla come condotta che può avvalersi del marchio di scientificità.

Quindi superando la patologia della mentalità scientifica, anche se non abbiamo l’obbligo di definire il nostro fare un fare scientifico, sapremo comunque con sicurezza di essere, sul piano professionale, molto più corretti nel nominare quel fare per quello che è, e cioè:

quell’insieme di prassi che, nella loro applicazione, permette di ottenere un determinato risultato, in quel determinato contesto e con quei determinati soggetti.

Poi, come abbiamo già detto, se si tratta di una prassi che lavora con la diversità, che è tra l’altro insita nell’uomo e tanto più nell’uomo diversamente abile, se si lavora con una materia aperta e vibrante come il suono e la musica, se si opera sulla base di prassi musicali che possono mutare di soggetto in soggetto a seconda delle sue dot-azioni, si comprende pure come una veste di rigida scientificità possa addirittura risultare umanamente e logicamente “antiscientifica”.



Musicoterapia umanamente corretta

È dunque umano ed è corretto cercare di interpretare il proprio fare, le proprie condotte, ma è altrettanto disumano e scorretto volerle “vendere” per quelle che non sono.

Le buone prassi sono efficaci e giuste anche senza quel patologico marchio di falsa scientificità, impressa come una griffe sull’habitus professionale che indossiamo. Intendendo per habitus, l’habĕo, cioè quello che è stato da noi acquisito grazie all’esperienza.

Da tutto ciò possiamo e vogliamo sperare che il rapporto fra il buon saper fare e buon saper essere della professionalità terapeutica possa, prima possibile, ri-formarsi con coscienza, dal latino conscièntia, formato da cum e scìre che significano essere consapevoli, cònsci.

Si tratta di avere coscienza, di affrontare il rapporto prassi-teoria con una forte presa di coscienza e di conoscenza, che poi si traduce in quella reale consapevolezza di ciò che stiamo facendo, di ciò che sta avvenendo in noi e negli altri.

La musicoterapia non ha alcun bisogno di appellarsi a scuole di scienza tout-court, ma ai tratti pertinenti di una con-scièntia, cosciente e consapevole, dunque logica e coerente.

La terapia musicale non può far altro che affidarsi a quel cognòscere che permette di far emergere dall’esperienza cosciente la dote di selezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del sano e dell’insano, del fare e del dire.

Non può esistere al mondo una terapia musicale che si affida ad una cultura che vuol rendersi occulta, tendente cioè ad occùlere, a sottrarre con un velo agli occhi altrui, a nascondere!

Un incoerente rapporto fra prassi e teoria porta, nel tempo e inevitabilmente, ad occultare la stessa coscienza professionale degli operatori, dei formatori, rendendoli in-coscienti, i-gnari, mancanti di quella consapevolezza che invece richiede una umana professione come quella di cui stiamo trattando.

È un obbligo di tutte le figure professionali di questo settore: fare in modo che la musicoterapia non sia ignobile (dal lat. in privativo e gnòbilem, nòbilem, conosciuto e nobile) e che quindi s’avvicini sempre più ad acquisire una nobile conoscenza, cioè ad assumere quella consapevolezza e quella coscienza che possono renderla sempre più coerente, più logica, più sana, quindi più gnòbile e nobile.

Ecco perché è giusto scendere dal piedistallo di una falsa o pesante scientificità, per salire su quello, ancora più alto, di una corretta umanità.


Pier Luigi Postacchini, Maurizio Spaccazocchi

*Contributo pubblicato in:

http://www.progettisonori.it/spaccazocchi/Musicoterapia/index.htm

[1] Cfr. Kuhn T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1999; Le rivoluzioni scientifiche, Il Mulino, Bologna, 2008, ecc.

[2] Rutheford L., Sciamanesimo, Ed. Armenia, Milano, 1996, p. 16.

[3] Noto fu il tentativo di modelizzazione svolto da Mauro Scardovelli sulle prassi della musicoterapeuti Giulia Cremaschi, le cui prime riflessioni sono presenti in Scardovelli M., Il dialogo sonoro, Cappelli, Bologna, 1992, pp. 125-136.

[4] In questi casi, quando la credenza è solo forte credenza senza rapporti con una buona prassi, la distinzione fra musicoterapia e setta musicoterapeutica è davvero labile.

domenica 17 ottobre 2010

proposta di legge

Gentile Presidente ,



le invio la Proposta di legge in oggetto , alla quale hanno collaborato negli anni numerosi musicoterapisti dipendenti di centri psico medico pedagogici e membri di associazioni anche iscritte al Colap , al fine di una accoglienza positiva come BASE DI PARTENZA per l'obiettivo comune in un settore importantissimo per il bene comune.
Auspichiamo una totale collaborazione costruttiva anche in relazione alla trasversalita' potnzialmente relalizzabile , essendo la proposta gia' stata sottoposta positivamente agli schieramenti politici e sindacali.
E' quanto mai professionale e qualificante che questo obiettivo venga raggiunto unitariamente dal lavoro autonomo e dal lavoro dipendente , nella maturita' di un settore professionale maturo , che comprende quando e' il momento di accantonare concorrenzialita' e personalismi obsoleti e datati.
Da parte mia , da parte dello staff dell'OnLe Scilipoti , da parte dei comitati e del sindacato , dal fronte dell'utenza e delle forze sociali , totale disponibilita' costruttiva nel rispetto dei propri essenziali ruoli nello sviluppo del settore delle professioni protette dove sono previste "riserve" (tra le quali quelle di interesse terapeutico).

Chiaramente disponibile a contatti ed approfondimenti , le invio

cordiali saluti

Rolando Proietti Mancini
musicoterapista
Opera Don Guanella
Presidente Comitato Nazionale MusicoterapiaDemocratica
collaboratore Rete dei Professionisti Precari Nidil Cgil Nazionale
Membro del Comitato Direttivo CGIL Roma Nord Sanita' Privata
staff OnLe Scilipoti

Vol III n.61

CAMERA DEI DEPUTATI

PROPOSTA DI LEGGE
SCILIPOTI: Disciplina della musicoterapia e istituzione della figura professionale del musicoterapista (3761)
Per monitorare l’iter di questa proposta di legge clicca qui
deputato SCILIPOTI profilo del deputato clicca qui
“SULLA MUSICOTERAPIA E SULLA FIGURA PROFESSIONALE CORRISPONDENTE”

Presentata XVI Legislatura

Onorevoli Colleghi!
Di fronte ad evidenti fenomeni di difficoltà e disagio in ampi settori sociali riguardanti l’area della comunicazione, dell’espressività della gestione emozionale (particolarmente nei settori adolescenziali e nell’area immigratoria), riteniamo necessario sollecitare un percorso di innovazione nel campo dell’intervento sociale individuando una figura professionale specializzata nella comunicazione non verbale, espressiva e sonora: il MUSICOTERAPISTA.

La musicoterapia è una modalità d’approccio sensoriale che utilizza l’elemento sonoro con finalità terapeutiche e preventive per intervenire su un certo numero di disagi fisici, psicologici e psicopatologici. In questo particolare ambito, l’obiettivo terapeutico deve essere distinto da un risultato propriamente musicale. Un percorso attraverso il quale si accudisce un individuo o un contesto collettivo, attraverso la stimolazione delle sue capacità creative, per trovare nuove sintesi dei suoi modelli interpretativi del mondo, non può non essere considerato anche “terapeutico”. Ma questo termine non ha necessariamente in questo caso un’accezione solo “clinica”; vuole semplicemente sottolineare quanto il benessere del soggetto passi anche per un’armonizzazione delle sue maniere di comunicare con il mondo esterno e di autopercepirsi non solo secondo codici verbali, ma anche corporei. Molti luoghi comuni descrivono infatti il corpo come un’area di esclusiva pertinenza medica o biologica, senza tenere conto che molte recenti ricerche dimostrano quanto anche il corpo si esprima secondo codici culturali e quanto, molto spesso, si conviva inconsapevolmente con diversi e tra loro conflittuali schemi di relazione corporea, anch’essi culturalmente definiti.

Non esiste un solo metodo musicoterapeutico, ma numerose pratiche molto diverse fra loro, in cui lo scopo finale e unico, è quello di mantenere e migliorare la salute mentale e fisica di tutti i soggetti di cui si occupa. Ciò è possibile perché la musica ha il potere di entrare direttamente in contatto con l’uomo, per cui la musica ha una funzione terapeutica naturalmente emanata.

A livello internazionale è stato, ancora una volta, possibile osservare la validità degli interventi musicoterapici impostati nel rispetto dell’utente e nella tutela della professione, nonché il coinvolgimento attivo di numerose associazioni di settore, di famiglie, forze politiche e sociali , centri di ricerca.

In ambito territoriale e stato possibile verificare la diffusione e la consistenza delle attività di musicoterapia nel territorio, nelle scuole, nei centri di riabilitazione, nelle case-famiglia, nei centri diurni e la necessità di tutela dell’utenza e della professionalità.

Nel presentare la Proposta di Legge sulla figura professionale del Musicoterapista esperto in comunicazione espressivo-sonora nell’area preventivo-riabilitativa, si intende rammentare che il confronto costante con soggetti fortemente colpiti nel proprio funzionamento personale e sociale (fisico, psichico e psicofisico), richiede necessariamente l’acquisizione di strumenti tecnici utili alla gestione delle dinamiche del singolo, della famiglia e del gruppo. Nel percorso educativo e riabilitativo è possibile intervenire con pazienti privi di parola, con potenzialità esclusive in ambito non verbale, con gravi problematiche di ordine psicologico e relazionale. A tali pazienti non possiamo offrire solo il tradizionale lettino terapeutico o il classico tavolo di lavoro, essendo spesso persone non collaboranti, a volte aggressive ed autolesioniste; dobbiamo invece intervenire con tecniche appropriate finalizzate ad innescare essenziali dialoghi comunicativi non verbali.

Si chiude così un percorso trentennale che ha visto coinvolti numerosi centri socio-sanitari in ambito inter-infra-transdisciplinare e si apre una nuova fase della ricerca applicata in riabilitazione e prevenzione, aperta alla definizione delle nuove figure professionali non mediche, nel rispetto dell’utenza e delle professionalità. La fase che inizia, opportunamente transitoria, abbisognerebbe, nel lungo periodo, di opportuni aggiustamenti tipici delle situazioni che necessitano di ulteriori approfondimenti e conoscenze da parte del Legislatore.

ART. 1 – FINALITA’
1. La musicoterapia è una attività psicopedagogica, un intervento socio-sanitario, un trattamento riabilitativo e terapeutico di pubblico interesse ed una disciplinata dalla presente proposta di Legge: essa si pone come scopo lo sviluppo e la riabilitazione di potenziali funzioni dell’individuo, in modo da raggiungere una migliore integrazione sul piano e interpersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita.
2. Lo Stato Italiano promuove l’applicazione della musicoterapia quale elemento di sostegno per un pieno e sano benessere e sviluppo delle capacità del singolo individuo e della comunità.

ART. 2 – DEFINIZIONI
Ai fini della presente legge si intende per:
a) musicoterapia: l’uso della musica e dei suoi elementi – suono, ritmo, melodia ed armonia per opera di un soggetto qualificato in rapporto individuale o di gruppo, all’interno di un processo definito per facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilizzazione, l’espressione, l’organizzazione ed altri obiettivi terapeutici degni di rilievo nella prospettiva di assolvere ai bisogni fisici, emotivi, mentali, sociali e cognitivi;
b) musicoterapista: un soggetto esperto nella comunicazione espressivo-sonora nell’area preventivo-riabilitativa, in possesso di diploma di conservatorio o di adeguata formazione musicale, che abbia svolto un corso triennale di impostazione multidisciplinare socio-psicopedagogico-medico-musicale e un congruo numero di ore di tirocinio (di un anno) presso strutture pubbliche, o convenzionate, o del privato sociale, della formazione primaria o della riabilitazione, con supervisione clinica e di musicoterapia.

ART. 3 PROFILO DEL MUSICOTERAPISTA
Il Musicoterapista :

è l’esperto nella comunicazione espressivo-sonora nell’area preventiva, riabilitativa e socio-sanitaria. Egli possiede una preparazione teorica e pratica musicale, relazionale ed artistica che si basa su una metodologia dinamica per l’applicazione di tecniche e strategie collegate all’impiego del suono che facilitano la comunicazione e la relazione di ogni persona in terapia musicoterapica;
utilizza il linguaggio non verbale artistico-sonoro-musicale, l’improvvisazione corporea, vocale e strumentale e l’ascolto del linguaggio musicale, costruendo una dimensione artistico-espressiva che facilita il cambiamento e l’attivazione;
effettua una valutazione musicoterapica e funzionale del soggetto e definisce il programma educativo e/o riabilitativo;
ove necessario, limitatamente a determinati ambiti della funzione terapica, opera in riferimento alla diagnosi del medico, in collaborazione con le altre figure socio-sanitarie se previste.
ART. 4 AREA FUNZIONALE DEL MUSICOTERAPISTA
1. Il Musicoterapista esercita la propria attività nell’ambito (degli operatori) socio-sanitario e nell’area della riabilitazione socio-sanitaria e psico-pedagogica.

2. Il Musicoterapista espleta una:
a) funzione preventiva: disturbi di iperattività nell’età della scuola primaria; comportamenti ai limiti con la patologia del periodo adolescenziale o come gestione di atteggiamenti disadattivi degli adolescenti; sedazione della madre in gravidanza; miglioramento della relazionalità e della socializzazione nei soggetti normodotati;
b) funzione riabilitativa: ritardo mentale lieve e medio-grave; deficit sensoriali: ipovedenti/non vedenti, ipoacusici; disturbi relazionali, dello sviluppo e del linguaggio dell’infanzia; patologie neuromotorie dell’infanzia; patologie neurologiche dell’adulto; coma lieve e post-coma; patologie psichiatriche dell’adulto; comunicazione non verbale mediata dal suono e dalla musica(sonora) nei Dipartimenti di Salute Mentale, in Centri e Comunità terapeutiche per tossicodipendenti, in Centri per il trattamento delle demenze negli anziani;
c) funzione socio-sanitaria: attenuazione dell’ansia del paziente ospedalizzato; lenizione delle sofferenze dei malati terminali; gestione del potenziale disagio psicologico degli operatori; supporto affettivo-relazionale ai ragazzi inseriti nelle case famiglia.

Art. 5 – FORMAZIONE DI BASE

La formazione di base del musicoterapista consiste in un corso che preveda almeno novecento ore di lezione e laboratori in un triennio e trecento ore di tirocinio presso strutture pubbliche o private convenzionate o private della formazione primaria o della riabilitazione, con supervisione clinica e di musicoterapia.
I corsi di Musicoterapia sono organizzati da istituti di formazione o dalle Università o da Dipartimenti equiparati all’Università. Il Titolo di Musicoterapista equivale a diploma accademico di primo livello.
Per accedere alla formazione del musicoterapista, l’aspirante deve essere in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado ed aver conseguito il diploma di conservatorio statale. E possibile l’accesso alla formazione a coloro che abbiano conseguito la laurea in medicina, la laurea magistrale in psicologia o la laurea magistrale in Scienze dell’Educazione e della Formazione, laurea in materie umanistiche con tesi in ambito musicoterapico, musicale, psicopedagogico, educativo, unitamente ad (ed) una buona conoscenza della musica da accertarsi con apposito test preliminare al corso di formazione.
La formazione professionale del musicoterapista prevede l’acquisizione delle seguenti conoscenze e capacità di:
area medica:
conoscenza delle sintomatologie inerenti le patologie trattate – nuclei espressivi;
conoscenza del SNC ; elementi di clinica psichiatrica.
b) area psicologica

conoscenza dei concetti base della psicologia generale e dell’età evolutiva;
conoscenza dei concetti inerenti il campo delle relazioni e delle dinamiche di gruppo;
psicopatologie.
c) area musicale

- capacità di esprimere e creare con voce e con strumenti musicali nel qui ed ora in forme convenzionali e non convenzionali;
- capacità di improvvisazione;
- conoscenze musicologiche/semiologiche della musica colta e popolare finalizzate alla capacità di decodifica dei fenomeni sonoro-musicali.

d) area musicoterapica
- capacità di individuare i bisogni del paziente,
- capacità di elaborare ipotesi di trattamento relative ai bisogni del paziente;
- capacità di formulare obiettivi circa il trattamento;
- capacità di identificare le tecniche musicali pi adatte alla problematica;
- capacità di formulare osservazioni del processo musicoterapeutico in itinere e a valle per la quantiqualificazione dei risultati ottenuti;
- capacità di auto-osservazione delle componenti emotive implicate nella relazione sonora paziente/terapista.

Art. 6 – REGISTRO PROFESSIONALE DEI MUSICOTERAPISTI.

1. E’ istituito presso il Ministero della Salute il registro professionale nazionale dei musicoterapisti, organizzato in registri professionali regionali costituiti presso ogni regione e provincia autonoma, nell’ambito dell’assessorato competente.

Al registro professionale dei musicoterapisti possono iscriversi coloro che abbiano conseguito con successo la formazione di base di cui all’articolo 5 della presente legge e coloro che abbiano i requisiti previsti nelle norme transitorie.
Il Musicoterapista iscritto al registro professionale deve annualmente maturare un minimo di crediti formativi, da stabilire con decreto del Ministro della Salute, da emanarsi entro trenta giorni dalla costituzione del registro professionale nazionale.
Art. 7 – OSSERVATORIO NAZIONALE DEI MUSICOTERAPISTI

Il Ministro della Sanità con proprio decreto costituisce, entro novanta giorni dalla pubblicazione della presente legge, l’Osservatorio Nazionale di Musicoterapia – O.N.M.- .
L’O.N.M. svolge funzioni di studio, monitoraggio e indirizzo utili per l’attività del musicoterapista.
Dell’O.N.M. fanno parte:
un rappresentante del Ministero della Sanità con funzioni di coordinatore;

un rappresentante del Ministero dell’Istruzione;

un rappresentante del Ministero per le Pari Opportunità;

tre rappresentanti nominati dalla Conferenza permanente Stato-Regioni ed autonomie locali;

due musicoterapisti esperti nominati dal Ministro della Sanità.

Art. 8 – NORMA TRANSITORIA

Possono iscriversi al Registro Professionale Nazionale dei Musicoterapisti, ed esercitare la professione di Musicoterapista, coloro che entro dodici mesi dalla pubblicazione della presente legge dimostreranno, mediante idonea certificazione e documentazione, di essere in possesso di almeno uno fra i seguenti requisiti :

di essere dipendente di una struttura pubblica o privata convenzionata nella qualità di musicoterapista o musicoterapeuta per un periodo minimo di anni cinque e per almeno novanta giorni lavorativi per ogni anno;
di essere congiuntamente in possesso di diploma quinquennale di scuola media superiore, diploma di conservatorio musicale statale o adeguata formazione musicale, frequenza con successo di un corso di formazione di musicoterapia di minimo seicento ore documentate ed una attività musicoterapica in strutture pubbliche o private convenzionate;
di essere congiuntamente in possesso di laurea in medicina, psicologia, scienze dell’educazione e della formazione, laurea in materie umanistiche con tesi in ambito musicoterapico, musicale, psicopedagogico, educativo, lauree di terapie, unitamente alla frequenza di minimo trecento ore di seminari formativi di musicoterapia ed una attività applicativa in strutture pubbliche o private convenzionate di minimo trecento ore;
attività scientifica esperienziale con un minimo di cinque pubblicazioni associata alla attività di musicoterapista o musicoterapeuta per almeno trecento ore, in strutture pubbliche e private convenzionate e un percorso formativo musicoterapico di almeno seicento ore;
attività interistituzionali con università e centri di formazione e ricerca riconosciuti del settore a livello internazionale nel campo della musicoterapia, con almeno trecento ore di formazione musicoterapica e trecento ore di attività in qualità di musicoterapista o musicoterapeuta in strutture pubbliche o private convenzionate.

venerdì 15 ottobre 2010

musicoterapia musicoterapista musicoterapeuta

l'on.le Scilipoti (IdV) ha presentato una proposta di legge per il riconoscimento della figura del musicoterapista.

giovedì 14 ottobre 2010

musicoterapeuti

Ires, parte indagine online su lavoratori professionali
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"Negli ultimi anni in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea è aumentato considerevolmente il numero dei lavoratori e lavoratrici che in forma autonoma o come dipendenti sono inseriti nel mondo delle professioni. Da oltre dieci anni il Cnel ha cominciato a dedicare una particolare attenzione alle professioni tradizionali ed emergenti - istituendo dapprima la Commissione per le nuove rappresentanze, e successivamente la Consulta e l’Osservatorio sulle nuove professioni. Il lavoro professionale rappresenta una delle parti più dinamiche del lavoro indipendente e di quello dipendente, sia nella forme più tradizionali che in quelle di recente sviluppo". E' quanto si legge in una nota diffusa dall'Ires Cgil.

"Alcuni studi indicano pari all’82% le competenze tecnico professionali reperite esternamente dalle imprese italiane", prosegue l'Istituto di ricerca. Il comparto dei servizi professionali ha registrato negli ultimi anni una forte espansione che ha portato a 1.400.000 il numero complessivo stimato di lavoratori e lavoratrici degli Studi Professionali. Di questi, si stima che, circa 500.000 siano collaboratori a partita Iva, co.co.pro, praticanti, stagisti, borsisti e tirocinanti (Fondo Professioni, 2007). 2.006.015, questo è il numero degli iscritti agli ordini e oltre 3 milioni sono quelli che esercitano attività professionali non regolamentate. In Italia, in particolare, la crescita delle “Partite Iva” raggiunge dimensioni più rilevanti, rispetto agli altri Paesi Ue, presentando alcune criticità.

In considerazione di queste crescenti criticità che nell’attuale mercato del lavoro colpiscono in vario modo i percorsi e le pratiche di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici professionisti, appare necessario fare luce sulle condizioni reali in cui lavora una vastissimo insieme di lavoratori e lavoratrici, che svolgono la loro professione in forma autonoma o dipendente. Un’attenzione specifica va posta al lavoro autonomo professionale che può essere vero nelle modalità professionali ma, con tratti più o meno vistosi di “debolezza contrattuale” e con esigenze di tutela specifica.

Per questo motivo l’Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Cgil), in collaborazione con il Dipartimento Economico della Cgil, sta realizzando una ricerca volta a conoscere condizioni, percorsi e bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo delle professioni, nel tentativo di individuare azioni e proposte di intervento adeguate rispetto alle loro esigenze. Dal giorno 1 ottobre 2010 sarà possibile compilare un questionario rivolto ai professionisti che lavorano in forma autonoma con Partita Iva o collaborazione, uno per quelli che esercitano la professione da dipendenti ed uno per praticanti e stagisti.

I questionari di indagine svilupperanno le seguenti aree tematiche:

· Caratteristiche della professione e condizioni di lavoro
· Accesso alla professione, percorso lavorativo e formazione
· Valutazioni del proprio lavoro
· Esternalizzazione e professioni
· Riconoscimento professionale
· Rappresentanza e tutele
· Contrattazione II°livello, welfare contrattuale, certificazione competenze (solo per
dipendenti)
· Welfare, fiscalità, compensi, certificazione competenze (solo per autonomi)
· Situazione economica e lavorativa negli ultimi 12 mesi

Per raggiungere quanti più lavoratori e lavoratrici possibili, il questionario rivolto ai professionisti (dipendenti e autonomi) sarà somministrato con tecnica C.A.W.I. (Computer Assisted Web Interviewing).

Per favorire una più ampia adesione di lavoratori e lavoratrici all’inchiesta, il questionario di indagine sarà reso accessibile on-line, oltre che dal sito dell’Ires, dai siti degli Ordini professionali, delle Associazioni professionali, dei motori di ricerca collegati al mondo del lavoro (es. Kataweb), dal sito della Cgil nazionale e da quelli delle categorie interessate.

musicoterapeuta

l'on. Scilipoti (IdV) presenta una proposta di legge per il riconoscimento della professione.

mercoledì 13 ottobre 2010

evviva

l'on.le Scilipoti dell'IdV ha presentato una proposta per il riconoscimento della professione del musicoterapista ; leggila su www.mtdem.it e su www.musicoterapista.blogspot.com

NOVITA'

Musicoterapia Democratica L'On.Le Scilipoti dell'Italia dei Valori ha presentato una proposta di legge che prevede i riconoscimento della figura del musicoterapista , vai su www.mtdem.it

lunedì 4 ottobre 2010

siamo un paese triste

LA LETTERA
«Mio figlio tetraplegico
rimasto senza insegnanti»
«Vado io a scuola per portarlo in bagno»

NOTIZIE CORRELATE
Video: parla la mamma del ragazzo tetraplegico
Caro direttore, sono la mamma di un ragazzo disabile che frequenta la seconda superiore all'Itsos «Albe Steiner» di Milano. Ecco come inizia l'anno scolastico 2010 per mio figlio affetto da tetraparesi: le ore di sostegno settimanali passano da 18 a 9; nessuno è disponibile a portarlo in bagno (perché tutto il personale è occupato in altre mansioni), così spesso mi fermo io a scuola nell'orario scolastico per aiutare la scuola ad affrontare una situazione che sembra ingestibile. Come si è arrivati a questo punto? Queste le risposte che ho ricevuto: il preside ha fatto domanda al Comune e al provveditorato, documentando tutte le spese sostenute l'anno scorso, ma il rimborso che ha ricevuto è stato poco più che simbolico. In provveditorato mi hanno detto che «i ragazzi crescendo devono diventare sempre più autonomi» e che in ogni caso «mancano le risorse».

Non mi resta, così mi hanno detto, che fare ricorso al Tar... Ringrazio per il consiglio, ma... intanto? Ultima considerazione: ho iscritto mio figlio a questa scuola, dopo che in numerose altre mi era stato risposto: «Gentile Signora, la nostra scuola, purtroppo, non è in grado di accogliere suo figlio... si rivolga altrove, perché davvero non possiamo seguirlo come meriterebbe...». Devo concludere che anche l'Albe Steiner avrebbe dovuto rispondermi così?

Anna De Castiglione